giovedì 5 aprile 2012

Vi ho dato l'esempio

In questi tre giorni vorremmo donarvi alcune riflessioni sul giovedì, venerdì e sabato santo tratte dal volume "Cristo, mia speranza, è risorto!" di Don Giuseppe Turani già usato nelle scorse settimane:

Significato e contenuti del giovedì santo


Sant'Ambrogio afferma: "bisogna che noi osserviamo non solo il giorno della passione, ma anche quello della risurrezione, in modo da avere un giorno di gioia, in modo da digiunare in quel giorno e da essere sazi in quest'altro. E' questo il triduo sacro... durante il quale Cristo ha sofferto, si è riposato ed è risuscitato". [...]
La riforma del Messale e dell'Anno Liturgico voluta dal Concilio Vaticano II, pone la Messa in cena domini come apertura della celebrazione della passione, ristabilendo l'unità del triduo pasquale [...]. Il triduo presenta la realtà dell'unico e unitario mistero pasquale nella sua dimensione storica: morte - sepoltura - risurrezione. Il giovedì santo lo trasmette nella sua dimensione rituale, cioè celebra il rito memoriale che rende presente il mistero pasquale di Cristo. Non è del tutto esatto presentare ai fedeli questa Eucarestia come la Messa della comunione pasquale, perché la vera Eucarestia si celebra durante la veglia del sabato santo. Nel rito della cena, che Gesù ci ha comandato di celebrare in sua memoria, egli ha donato il sacrifico pasquale. La Chiesa, per volontà di Cristo, ripete la cena per perpetuare la pasqua.
Si possono distinguere quattro Pasque nella storia della salvezza:
  1. La Pasqua del Signore: il passaggio salvifico di Yhwh nella notte dell'uscita dall'Egitto.
  2. La Pasqua dei giudei: la celebrazione del memoriale o memoria oggettiva compiuta con il rito della cena pasquale
  3. La Pasqua di Cristo: la sua immolazione sulla croce, il suo passaggio da questo mondo al Padre, attraverso la passione e la risurrezione.
  4. La Pasqua della Chiesa: celebrata sacramentalmente, annualmente, ma anche ogni settimana e quotidianamente nel rito eucaristico
Il rito pasquale si pone in relazione alla Pasqua storia che è memoriale efficace, presenza reale della salvezza e annuncio del suo adempimento definitivo. [...]
Il messale di Paolo VI imprime a questa celebrazione eucaristica un carattere festivo, unitario e comunitario: "secondo un'antichissima tradizione della Chiesa in questo giorno sono vietate tutte le Messe senza il popolo. Sul far della sera, nell'ora più opportuna, si celebra la Messa in cena Domini, con la partecipazione piena di tutta la comunità locale... Non si possono fare celebrazioni a vantaggio di privati o a scapito della Messa vespertina principale".
Da queste precisazioni emerge la volontà della Chiesa di far convergere l'attenzione di ogni comunità locale a questa celebrazione perché appaia, anche nel segno esterno, che la celebrazione ha per soggetto il popolo di Dio riunito da quel sacrificio di Cristo che è reso sacramentalmente presente nel segno della cena [...]

Il rito della lavanda dei piedi

Ai tempi di Sant'Agostino, durante il rito del giovedì santo, era comunemente praticata la lavanda dei piedi. La riforma liturgica di Pio XII del 1955 permise che questo rito potesse essere compiuto dopo l'omelia in tutte le chiede dove fosse celebrata la Messa in cena domini [...]. E' da tenere presente che questo gesto non è mai stato obbligatorio, nemmeno nell'attuale Messale romano. Esso serve per comprendere meglio il fondamentale precetto cristiano della carità fraterna nel servizio. Non può ridursi a una rappresentazione scenica, sentimentale e priva di autenticità: in tal caso, sarebbe meglio tralasciarla e sostituirla con un gesto concreto di carità. Il suo significato viene dalla Parola stessa, prima chiave interpretativa dei gesti che si compiono all'interno della liturgia. [...] 
Nella Messa in cena domini la comunità sa di essere depositaria di un peculiare comandamento e lo esprime attraverso un gesto che richiama la disponibilità al servizio reciproco. Cristo si rende visibile per mezzo della comunità che diviene sacramento del suo amore. Un rito, quindi, che traduce i tanti gesti do carità e di donazione che si realizzano quotidianamente nel silenzio. Un gesto che non è solo imitazione dell'agire di Cristo, ma deve diventare profezia di una Chiesa capace di accoglienza e di amore radicali. Sono proprio i rapporti interni della comunità che devono conformarsi e verificarsi sull'amore estremo e coinvolgente di Cristo.

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