Vorrei riprendere, in occasione dell'ormai prossima GMG; la tradizione del racconto al mese, pubblicando qui di seguito una riflessione di don Tonino Bello dedicata proprio ai giovani, da lui rivolte ai diplomandi dell'istituto superiore di Terlizzi (Ba). Questa può dare adito ad alcuni spunti di utile riflessione in preparazione all'evento di Rio:
"1- Le mie parole vengono dal cuore
“…Tanta gente è
triste perché non attende niente nella vita. Ma voi cercate di dare
agli altri senza calcolo, senza pensare manco se va a buon porto
quello che voi avrete dato. E soltanto quando avrete dato, vi
accorgerete di avere una vita ricchissima. La vita vuota non è
quando si svuotano i vostri beni materiali, ma quando si svuota di
ideali, ed è pesante allora. Perché la vita non è come la valigia.
Una valigia quanto più è piena, tanto più è pesante. Ma la vita
quanto più è vuota, tanto più diventa pesante. Io vi auguro che
possa essere leggerissima la vostra vita proprio perché sovraccarica
di questa solidarietà che dà sapore a tutti i vostri giorni.
Rimanete sempre giovani di vent’anni, anche quando si incurveranno
le vostre spalle per il peso della vita”."
"1- Le mie parole vengono dal cuore
Cari ragazzi, al termine
di questo vostro “curriculum” scolastico, io vorrei dirvi qualche
cosa che vi apra il cuore a una grande speranza.
Non
voglio dirvi delle parole fatue, vuote, di semplice incoraggiamento,
quasi un’arringa come fa il capitano che chiama i marinai sulla
tolda della nave e dà un incoraggiamento, uno strattone. No…
Vorrei dirvi una parola di fiducia, di speranza.
Ieri
mattina sono stato fortemente colpito quando sono andato a trovare i
bambini delle scuole materne. Stavano lì tutti intorno a me. Poi a
un certo momento la maestra ha chiesto ai bambini:
“Chi è questo
signore?” E i bambini …che ne sappiamo? …il.. il.. ve…vescovo.
E chi è il vescovo? Una bambina di nome Sara, bellissima, ha detto:
“È quello che fa suonare le campane!”…
Io
penso che non ci sia definizione più bella di questa. Non quello che
suona le campane, ridotto a rango di sacrestano…
Ma il vescovo “è
quello che fa suonare le campane”, a me sembra che sia una stupenda
definizione.
Il
vescovo, il sacerdote, il credente è colui che fa suonare le campane
a stormo, come a Pasqua, o nelle feste e sagre paesane delle vostre
città. Quando suonano a stormo le campane nei giorni di festa che
sembra davvero una feritoia che ti introduce nella Pasqua e al Sabato
eterno. Il vescovo è quello che fa suonare le campane, cioè colui
che introduce la gioia nel cuore della gente. Poi la bambina si è
fatta più audace, è venuta vicino a me e ha detto: “Mi dai quella
collana?”… Simpaticissima.
Ieri
i bambini erano tutti quanti loquaci. Però ce n’era uno in
disparte. Mi sono avvicinato e gli ho chiesto: “Tu, come ti
chiami?”… Niente, non voleva rispondere. Ma, per farlo parlare,
dissi: “Vedi qua? Cos’è questa? …la..la cro.. croce. E chi è
stato messo sulla croce? Ge..Ge …Gesù, vedi, questo è Gesù”.
Allora
il bambino finalmente ha aperto bocca: “Non mi sembra proprio!”…
È bellissimo con i bambini…
2
-Dissetatevi alla fonte viva
Cari
ragazzi, che state sperimentando la soglia dei 17/18 anni, quanto
vorrei augurare a voi la trasparenza degli occhi di quei bambini che
ho incontrato ieri e può essere mantenuta. Se voi portate avanti
questo bisogno di felicità che voi avvertite nel vostro cuore, non
andate ad appagarlo in cisterne screpolate, a fontane inquinate, a
botti che hanno ormai il vino diventato aceto. Perché, vedete, una
cosa accomuna tutti quanti: i credenti, e i non credenti, gli atei e
i santi, le monache di clausura che si alzano nel cuore della notte
in preghiera e coloro che nel cuore della notte fanno delle rapine a
mano armata, oppure negli angiporti misteriosi consumano chissà
quali delitti.
C’è
una cosa che accomuna tutti quanti, il vescovo e voi, un adolescente
e una donna anziana… è il bisogno profondo di felicità
che abbiamo; perché tutti quanti abbiamo un bisogno incredibile di
felicità e sperimentiamo anche che non c’è nulla capace di
appagarci.
Sperimentiamo
davvero, credenti e non credenti, quello che diceva Sant’Agostino,
anche lui alla ricerca ansiosa di brandelli di felicità, che
potessero riempirgli il cuore.
Nelle
Confessioni scriveva così: “O Dio, tu ci hai fatto per te e
il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te”! …Ma
non la morte, no… finché non ti cerca e non ti trova, il nostro
cuore è inquieto! Abbiamo una inquietudine profonda.
3
- Ci accomuna questo bisogno di felicità
Ce
ne accorgiamo tutti quanti. Soltanto c’è chi appaga questo
desiderio di felicità bevendo a fontane inquinate e c’è chi lo
appaga bevendo a fontane più pure, più libere.
Chi
si tuffa nell’alcool, nella droga, nel piacere, chi insegue sogni
di grandezza, chi si lascia affascinare dal mito della bellezza, al
punto che si dispera, ad esempio, per avere i capelli ricci anziché
lisci, lunghi invece che corti, oppure per voler avere gli occhi
celesti. C’è gente che si dispera per questo.
C’è
gente che pensa di poter appagare il suo bisogno di felicità
tuffandosi a capofitto anche in amori fluttuanti, che durano uno
spazio di un’estate. D’estate si va al mare, un campeggio,
un’amicizia… Ti rimane scolpita nel cuore una persona, un volto,
un nome. Poi torni a casa, la sera stessa, una telefonata, poi, il
giorno dopo una cartolina, dopo una settimana, un mese una mezza
cartolina, poi finisce tutto e ti accorgi che vai alla ricerca di ben
altro. Non ti appaga nulla.
Ecco
perché dicevo quando sarete arrivati al quadro dei risultati del
vostro esame (esami che saranno senz’altro positivi e pieni di
gratificazione per voi), dopo 5 minuti, rimarrete già delusi.
Io
mi ricordo quando mi sono laureato, inseguivo tanto quel giorno.
Arrivarono anche i miei fratelli per essere presenti. Feci l’esame,
andò molto bene. Poi andammo a pranzare in un ristorante. Dopo il
pranzo, mi ricordavo il titolo di un romanzo di Fallado: “E
ora…pover’uomo?”. Mi ricordo quando arrivai alla frutta. “…e
adesso? ..è finito? Si è finito! È possibile, l’ho inseguito per
tanto tempo… C’è qualcosa che scavalca gli appagamenti
momentanei della tua vita.
4
– Coltivate i grandi sogni
Ma
anche per ciò che riguarda il vostro amore, la vostra vita
affettiva. Anche voi coltivate dei sogni bellissimi, voi ragazzi e
ragazze, trovare un compagno o una compagna che dia pienezza alla
vostra esistenza, che vi dia il gaudio, la gioia di vivere, su cui
puntare, su cui giocarsi tutta l’esistenza. Si, è bellissimo.
Coltivate queste cose. Coltivatele in trasparenza, in purezza
interiore, perché non c’è nessuna esperienza al mondo più bella
di quella che voi attualmente vivete alla vostra età, nel proiettare
su di una creatura i sogni del vostro futuro. È bellissimo.
Coltivate
questi sogni diurni, quelli che si fanno all’alba e si realizzano.
Queste non sono utopie, ma sono utopie. Non sono il non luogo, ma il
buon luogo, dove si sperimenta la felicità. Però ricordatevi che
anche questa esperienza è contrassegnata dal limite, perché la
ragazza che ti sta accanto nella vita può essere splendida,
bellissima come la diva più luminosa di Hollywood degli schermi
televisivi. Quel ragazzo che ti sta accanto può essere il più
bravo, il più svelto degli atleti che vediamo ogni tanto ingombrare
i nostri teleschermi. Può essere intelligente… ma dopo ne
sperimenti il limite!
Grazie
a Dio, meno male che tutti hanno un limite e qualche volta non c’è
soddisfazione più grande, quando si leggono certi articoli su questo
o quel altro personaggio, e ti accorgi che anche lui ha i suoi
difetti. C’è il limite. Allora questo bisogno di felicità ce lo
abbiamo tutti quanti. Alcuni lo appagano in questi modi a volte
effimeri. Per esempio un modo per appagare questo desiderio di
felicità è quello dei soldi.
C’è
della gente che è presa, strangolata dalla smania di possedere, di
accumulare, di avere. È incredibile. Quanta gente c’è che per il
denaro si vende l’anima, si spappola la vita, si sgretola la
felicità domestica, frantuma perfino quel focolare che ha costruito
per inseguire il denaro, i soldi, il possesso.
5
- È vera felicità?
Non
potrò mai dimenticare quando, qualche anno fa, andai negli Stati
Uniti a trovare un amico molfettese. Era partito come calzolaio da
Molfetta. Era diventato poi molto, molto ricco, un principe del
dollaro. Una sera quando ho finito la funzione in chiesa per tutti i
molfettesi che erano venuti alla celebrazione della Madonna dei
martiri, aveva voluto invitarmi e aveva mandato una macchina lunga
fino lì in fondo. C’era tutto in quella macchina, mancava soltanto
la vasca da bagno. Mandò il suo autista personale, in una villa
lussuosa con 2/3 piscine, una cosa da nababbo. E quest’uomo, a
tavola, continuava a parlarmi delle sue ricchezze. Si vedeva la
smania di chi era arrivato da una condizione molto povera, nel
presentarsi come un uomo riuscito. Quando disse che aveva intenzione
di mettere lo sterzo d’oro, io gli accennai che sulla terra ci sono
moltissimi poveri. Lui mi guardò e io sorrisi alla ragazza, sua
figlia, che capiva l’italiano e mi ricambiò con il sorriso e poi
mi accorsi che era paralitica. Era l’unica sua figlia. Dicevo: “ma
guarda, quest’uomo arrivato, ricchissimo, anche lui ha il buco nero
di questa sofferenza”.
6
– E tu sei felice?
Ragazzi,
che cosa voglio dirvi con questo discorso? Che la vita è dura, è
difficile per tutti quanti. Però io posso indicarvi oggi una fontana
a cui potersi abbeverare e trovare non la felicità piena, ma
l’appagamento interiore.
Trovare
soprattutto la forza per camminare, per andare avanti e trovare
veramente gli estuari dove la felicità si trova, nel Regno di Dio,
l’ascolto della Parola di Dio, del Vangelo. Io, lo so benissimo,
devo rispettare la laicità della scuola.
Non
sono venuto a farvi una catechesi oggi, però vi dico soltanto, se
può servire a voi, l’esperienza che ho fatto io. Ma vorrei
proporvi: “Tu sei felice? Tu che vai ad abbeverarti a questo bar, a
questa fontana…?”
Ma i
miei problemi il Signore non me li risolve, li devo risolvere io!
…Però Lui mi dà il senso, l’orientamento ai miei problemi, al
mio tormento, alle mie lacrime, al mio pianto, alla mia gioia, al mio
camminare. Lui dà senso. Non sono spezzoni slegati. Non sono come i
bulloni della mia macchina, quando mi sono fermato dal meccanico. E
quello in 5 minuti ha ridotto il mio motore a pezzetini. Bulloni,
viti… Ha sbullonato tutti gli ingranaggi.
Molte
volte la nostra vita è fatta di cose sbullonate tra di loro, messe
nella coppetta della ruota, come fa il meccanico, e noi non sappiamo
più decifrare l’ingranaggio, l’avvitamento giusto e andiamo
inseguendo gli spezzoni. Si, perché anche voi ragazzi, alla vostra
età provate momenti di felicità e tu vorresti fermarli per sempre.
7
- Ma tutto passa.
Questa
è l’angustia. Momenti di ebbrezza, di felicità ne abbiamo tutti.
L’incontro con una persona, con un amico che ti fa un complimento,
un sorriso, uno che accoglie una tua proposta, uno che risponde al
tuo invito… ti dà felicità. Una notizia bella per te, per la tua
famiglia… Ma è tutto fugace. E soprattutto ciò che stringe la tua
felicità che la riduce a poco e il presentimento che tutto finisce,
anche nelle feste più grandi.
Quando
io andavo a casa a Natale mi trovavo con i miei fratelli, con mia
madre a Pasqua, Pasquetta, era bello. Tutta la famiglia riunita, i
giochi con i più piccoli. Ricordo che c’era sempre mia madre che a
Natale, quando si arrivava alla frutta, al caffè diceva: “è
passato!”
E
poi diceva sempre: “Chissà se l’anno prossimo ci sarò”. Poi
c’è stato un anno in cui non c’è stata più. Ma il presentire
che finisce la gioia. Questo ti dà una tristezza. Anche per voi il
presentire che finisce una stagione, finisce la bellezza fisica…
Sarete sempre belli e belle se, più che coltivare una ruga perchè
rientri, curerete la lucerna, il fuoco che sta dentro di voi e si
sprigiona attraverso i vostri occhi, come dice il vangelo: “Lucerna
dell’anima è l’occhio”.
Attenti
ragazzi, questo è vero. Se voi berrete dell’acqua che Gesù Cristo
ci ha indicato, alla fontana che lui ci ha indicato, troverete il
significato a tutti i vostri problemi. Non ve li risolve, ma
troverete il significato. Saranno sbullonati i vostri problemi, ma
avranno un orientamento. Provate per credere.
Il
fatto è che qualche volta siete distanti da lui, avete reciso i
contatti con il Signore, perché a volte vi sembra che sia un fatto
da donne leggere il vangelo e prestar ascolto alla voce del Signore.
8 – Una splendida
famiglia
Quest’estate
mi hanno telefonato degli amici chiedendomi se potessi ospitare in
casa mia, a Molfetta, una famiglia di cecoslovacchi, professori di
università, che non avevano fatto mai carriera per non aver fatto
professione di ateismo.
Hanno
chiesto di venire a Molfetta. Io li ho accolti e sono stati un mese a
casa mia. Molto discreti. Si parlava tra me e loro in latino. Vi dico
solo questo episodio.
Il
primo giorno (avevo dato loro le stanze e la cucina) hanno voluto
invitarmi a pranzo e ci sono andato. Erano tutti intorno, marito,
moglie e tre figli (18,20 e 22 anni), simpaticissimi. La mattina
andavano al mare, tornavano a mezzogiorno.
Ci
siamo messi intorno la tavola. Abbiamo fatto il segno di croce. Lui,
il papà, non ha detto a me vescovo: dì tu una preghiera… “In
nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen… Pater noster…”
Tutti. Poi un minuto di silenzio. Poi un canto a cinque voci,
polifonico. Emergeva la voce della madre.
Poi
ci siamo messi a mangiare. Io pensavo che avessero fatto questo
perché c’ero io. No. Ogni giorno all’una e un quarto, puntuali.
E quando sono partiti, dopo 2 o 3 settimane, pioveva come in questi
giorni. Li ho aiutati a caricare la macchina. Sono sceso giù, mi
hanno salutato.
Poi
si sono insieme inginocchiati sul bagnato e volevano la mia
benedizione. Io andavo in maniche di camicia. Li ho benedetti. Poi,
in ginocchio, un altro canto d’addio, a 5 voci…
Fortissimi! Se certe cose
le vedeste, io sono convinto che anche voi vi rendereste conto che
non è acqua fatua, di poco conto… ma veramente acqua che disseta.
9
– Una missionaria indimenticabile
L’altro giorno ai
vostri compagni più piccoli, ho parlato di una suora che ho
incontrato questa estate quando sono andato in Africa (in Etiopia),
al centro dell’Africa nera, selvaggia, là dove c’è un medico
ogni 73mila abitanti e in un grande ospedale di circa 400 persone,
istituito dal vescovo del posto, mantenuto con i piccoli risparmi.
Unico medico:una suora giovanissima e splendida, anche fisicamente,
una spagnola, di un sorriso stupendo, in jeans, vestiva un camice
bianco, sembrava un angelo. E correva ad aiutare di qua, di là…
Ho
raccontato l’altro giorno quello che mi capitò di vedere. Una
ragazza, al suo primo parto. Le aveva salvato la vita. Dopo questa
operazione sono venute dalla foresta delle donne gridando perché era
successo non so che… Lei si è tolto il camice bianco, si è messa
il casco, ha preso la moto e, via di corsa. Il vescovo piangeva nel
vedere questa suora che aveva bruciato la sua vita per gli altri.
Tant’è che dopo, altri, in attesa che ritornasse dicevano: ma come
fa questa, a vivere? Poi ha detto a me: vedi, mandaci qualche aiuto.
Il giorno stesso, tornati ad Amassan, in centro diocesi, ricordo di
aver scritto a don Riccardo Ruotolo, presidente dell’ospedale di
Padre Pio, all’altro presidente dell’ospedale cattolico di
Acquaviva e alla superiora dell’ospedale di Tricase, descrivendo la
situazione. Lì dove ci sono centinaia di medici, che quando c’è
un concorso per 2 posti, ne arrivano…
10 – Si chiamava
“Isabel”
Mi sono dimenticato quel
giorno di portare in macchina un pacco di medicinali che mi avevano
dato a Bari. Il vescovo disse: non importa, ritornerai domani. Come
domani? 700 chilometri all’andata e 700 al ritorno… Ti manderò
col mio autista, disse.
Il
giorno dopo sono ritornato. Sono arrivato lì in ospedale verso
l’una. L’ospedale era schiacciato da un sole equatoriale, un
caldo da morire, non si muoveva anima viva. E ho detto: vorrei
parlare con suor Isabel. E chi la trova? Non c’è nessuno, solo gli
ammalati, e le mosche, e fuori le donne, cioè le mogli di questi che
preparavano il pasto, perché non è che l’ospedale dà il pasto.
Abbrustolivano un po’ di mais. E’ venuta una bambina piccola.
Aveva degli occhi grandi e belli come tutti i bambini etiopi, tanto
che il vescovo diceva: quando tu vuoi sapere quanta gente c’è in
assemblea, conta il numero degli occhi, poi dividi per 2 e sai quante
persone ci sono. Sono tutt’occhi.
È
venuta, mi ha preso per mano, mi ha condotto fuori dall’ospedale.
C’era una capannetta con sopra una croce, era una chiesa. Ho spinto
l’uscio di canne, sono entrato.
Un
piccolo tabernacolo, una lampada. Si inginocchiava davanti, nel
silenzio più assoluto del meriggio, questa creatura eccezionale, che
io non ero mai riuscito a trovare in Europa con una tale forza
d’urto. L’ho vista lì nel cuore dell’Africa e mi sono reso
conto della fontana da cui questa donna attingeva la vitalità,
l’esuberanza. Non la bigotteria, ma la speranza e anche la capacità
professionale.
11
– La vita è vostra
Ragazzi
miei, questo vorrei dirvi: “La vita, giocatevela bene!”
Non tanto perché la si vive una volta sola e la gioventù passa in
fretta, ma giocatevela bene perché qualche volta correte il rischio
che in questa vostra smania di libertà, di grandezza, di orizzonti
larghi, invece che raggiungere gli orizzonti larghi, vi incastonate
nei blocchi…
Non
so se voi avete letto un libro, ora non mi ricordo il titolo… Io
sono andato a vederla quella piazza, piazza della Concordia a Parigi.
Al centro c’è un obelisco molto alto e circondato da una grande
inferriata.
In
questo libro si descrive un ubriaco che, di notte giunge barcollando
da una strada che sbocca in questa piazza.
Questo
ubriaco, che va ciondolando lungo la strada e poi finalmente arriva
all’inferriata di questo recinto. Si aggrappa e gira più volte
perché tenta di salire. Vuole evadere, alla ricerca della libertà.
Poi
si alza, si accascia una, due, tre volte ma è così preso
dall’alcool che non sta in piedi, fino a quando spunta l’aurora e
lui finalmente, i fumi del vino se ne sono andati, l’ubriacatura è
passata, sfinito, scivola e crolla sulle inferriate e si accorge,
mentre i primi raggi del sole illuminano la piazza, che quello è un
recinto e non lo spazio della libertà. Non avrebbe operato un
evasione, ma si sarebbe incastrato nel recinto della prigione.
Qualche volta, ragazzi, noi corriamo questo rischio: andiamo alla
ricerca di obbiettivi che pensiamo ci debbano liberare, ma invece ci
danno proprio la prigione. Attenti. Perciò ho detto: vivetela bene
la vostra vita, perché vi capita di viverla una volta sola. Non
bruciatela. È splendido. Soprattutto se voi la vostra vita la
mettete a servizio degli altri.
12
– Non ho scampoli, da vendere
Non
è la conclusione moraleggiante di un vescovo di passaggio che viene
a rifilarvi degli scampoli di omelia perché non è riuscito a
riciclarli in chiesa. Allora le fettuccine che gli sono rimaste viene
a darle qui al magistrale, a quelli dell’ultimo anno. No, no. Lo
sto dicendo davvero. Questo fatto umano che vi dà una grande voglia
di vivere. Io sono convinto, ragazzi, poi voglio chiudere per dare a
voi la parola (oh, non chiedetemi la collana!…)
Sono
convinto che se voi, la vostra vita la spendete per gli altri, non la
perderete… Perderete il sonno, ma non la vita. La vita è diversa
dal sonno.
Perderete
il denaro, ma non la vita. La vita è diversa dal denaro.
Perderete
la quiete ma non la vita. La vita travalica la quiete, soprattutto la
quiete sonnolenta, ruminante del gregge.
Perderete
tantissime cose… Perderete la salute ma non la vita.
13
– Un cuore che vi faccia male
Abbiamo
sentito una canzone qualche sera fa, nella cattedrale di Terlizzi per
un incontro dei giovani.
Facemmo
mettere una canzone di Zucchero che diceva pressa poco: ..voglio
amare fino a che il cuore mi faccia male…
Perché
se avrete questa apertura, lo dico a tutti, al di là di ogni
esperienza religiosa, anche se c’è qualcuno (a) molto lontano.
Sono convinto che è una cosa che tocca anche loro, starei per dire,
soprattutto loro.
Vi
auguro che possiate veramente amare la vita, amare la gente, la
storia, la geografia, cioè la terra, a tal punto che il cuore
vi faccia male e ogni volta che vedrete, non soltanto queste
ignominie che si compiono, queste oppressioni crudeli, queste nuove
Iroscime e Nagasaki e questi nuovi campi di Mattausen e di sterminio.
Lo
vedrete fra 5/6 anni come i momenti che stiamo vivendo in questi anni
passeranno nella storia con una gravità forse più grande di quella
degli episodi di Iroscima o dei campi di sterminio.
Quello
che sta capitando oggi, nel silenzio generale di tutti: i Curdi
massacrati come gli Irakeni massacrati, con le guerre che hanno
mietuto Irakeni, Americani… ma che ci importa delle bandiere.
Quando muore un uomo è sempre una tristezza incredibile. Io penso
che quando voi sentite queste cose, dovreste sentire il cuore che vi
fa male.
Ma
noi il cuore ce lo sentiamo triste soltanto quando vediamo le cose
epidermiche. Perché vedere che la moglie di un marinaio, che ieri è
morto nell’ incidente di Livorno, che piange e che viene ripresa
dalle zoommate impietose delle TV, anche a te il cuore fa male, ma
dopo passa, perché la televisione ci sta abituando a girar subito
pagina.
Però
il grido violento che si sta sprigionando dalla terra, soprattutto
dalle turbe dei poveri, quello deve risuonare continuamente dentro di
noi.
Vi
auguro che il cuore vi faccia male, come dovrebbe far male anche
quando vedete lo sterminio della natura. Sentiremo fra poco che cosa
significa la fiumana di greggio che si è sprigionata nel golfo
persico.
Sentiremo,
purtroppo (notizia di questa mattina) della fiumana di greggio
disperso nel golfo di Genova. Non so se sono 80 o più quintali di
greggio nel mare.
Ma
vorrei dire, ragazzi, di fronte a queste cose voi dite: che cosa
possiamo fare? Ma io credo che nel piccolo qualcosa potreste fare. Il
rispetto, il rispetto dei volti, il rispetto delle persone, la
bellezza, la cura della bellezza, che non è qualcosa di effimero.
Sapete che Dio è la bellezza. È la bellezza che salverà il mondo.
Coltivate la bellezza del vostro volto, anche quando avrete 80 anni.
La bellezza del vostro corpo, del vostro vestire, cioè l’eleganza,
non fatta di abiti firmati. No, non quella.
L’eleganza,
la semplicità, la bellezza del vostro sguardo. Non potete immaginare
quanta luce dà a chi è triste, un sorriso. Non sono un romantico,
no.
Non
potete immaginare quanta voglia di vivere produce una sguardo
generoso che voi darete a una persona che è triste, a un passante.
Qualche volta tu ti accorgi che , per aver fermato la macchina,
magari perché un passante, un ragazzo possa attraversare la strada,
ti vedi ricambiato da un sorriso. È una cosa splendida.
Non
c’è ricchezza al mondo, non c’è denaro che ti ripaghi. Queste
cose, voglio dire, il rispetto del volto, dell’altro, dei luoghi,
la scoperta di Dio, anche voi ragazzi che probabilmente siete molto
scettici, nelle cose belle che lui ci dà e la natura. L’intuire la
presenza di questo Essere più grande di noi, che fa i miracoli ogni
giorno e noi non li sappiamo cogliere.
14
- L’albero di ulivo e il taglialegna
Il
poeta romano, Trilussa, adesso sta entrando anche nella
antologia di letteratura italiana, poiché fino a qualche anno fa
veniva snobbato, oggi la critica gli dà un posto di prima grandezza.
Tra tutti i suoi versi vi voglio ricordare questo, ora non ricordo
bene il titolo. È un dialogo tra un albero di ulivo e il taglialegna
che sta per tagliare l’albero.
L’albero
dice: “ma perché mi strappi dalla mia terra? Che vuoi? Mi
fai trasformare in una scrivania come quel faggio?”.
Risponde: “Ma no, che dici? Tra poco tu diventerai statua di
un santo. Ti metteranno sull’altare, ti porteranno in processione.
Sarai santo. Potrai fare tutti i miracoli che vuoi.”. Ma
l’albero rispose: macchè. Così sono i versi:
“L’albero
disse: ti ringrazio tanto, ma il carico di ulive
che
ho addosso, non ti pare un miracolo più grosso
di
tutti quelli che farei da santo?
Tu
stai sciupando tante cose belle, in nome della fede.
Ti
inginocchi se vedi che un pupazzo muove gli occhi
e
non ti curi di guardare le stelle.
Mentre
gli diceva queste parole si intravvide una luce
d’improvviso,
un raggio d’oro
e
Dio dal paradiso benediceva l’albero,
con
il sole”.
Bellissimo.
Ragazzi, vorrei dirvi
questa scoperta della santità delle cose, non della sacralità,
perché voi siete molto consumatori di sacralità, ma poco
protagonisti di santità.
La
santità la possono raggiungere anche i laici.
Vedete,
quando vi dico che Gesù vi dia tanta voglia di vivere, vi voglio
dire anche che Gesù vi dia tanta voglia di scoprire la santità
delle cose, del mare, la bellezza della terra, dei vostri giardini,
dei prati, delle pareti della scuola, starei per dire, delle pareti
dei bagni di tutte le Agip che incontrerete quando farete la gita
scolastica sull’autostrada… Non la farete?.. Va bene!
Ma
mi capite? E ora, siccome passa il tempo, mi fermo davvero. Vorrei
che sull’onda di queste suggestioni molto fugaci, poiché sono più
le cose che si tralasciano di quelle che si dicono quando si parla,
ci fosse ora il vostro intervento.
NB. Seguono le domande con relative risposte…
Trascrivo qui
soltanto le parole finali, della conclusione.
15 – La vita e la
valigia
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