sabato 19 maggio 2012

Mentre si trovava a tavola con loro

In occasione dell'Ascensione riprendiamo le riflessioni tratte dal volume "Cristo, mia speranza, è risorto" di Don Giuseppe Turani che ci hanno tenuto compagnia per il periodo quaresimale:

Annunciare


Non è un fatto insolito né straordinario vedere Gesù a tavola con gli amici (Lazzaro, Marta, Maria, i discepoli di Emmaus, gli apostoli,...). E' un gesto di condivisione e convivialità molto concreto che evidenzia la vicinanza e l'umanità di Gesù, non solo con gli amici, ma anche con i peccatori e i pubblicani (Levi, Zaccheo, Simone, ...); è un'espressiva testimonianza di vicinanza e di accoglienza che il Signore riserva a coloro che sono lontani ed emarginati dalla società. Il gesto dello spezzare il pane diventa un segno per riconoscere il Risorto, perché proprio nell'ultima cena Gesù lascia la sua perenne presenza nel pane e nel vino [...].
Il Risorto, dopo diverse apparizioni e dopo aver condiviso il cibo con gli apostoli, abbandona il mondo, ma prima di salire al cielo dichiara agli undici: "Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo". L'ascensione di Gesù non significa separazione e allontanamento; si tratta di un nuovo rapporto, non più legato a luoghi e tempi, ma così innalzato da estendersi a tutti i tempi e luoghi.
E' possibile chiedersi: perché Gesù non è rimasto qui in mezzo a noi per continuare a compiere miracoli, sconfiggere ogni comportamento che distrugge l'uomo e rendere migliore il mondo? [...] E' l'atteggiamento di quanti si aspettano che cada dal cielo ogni soluzione ai problemi che affliggono l'umanità; sta, invece, a ogni credente assumersi le proprie responsabilità, immergendosi nel quotidiano per rendere migliore questo mondo. L'ascensione è il giorno delle consegne, in cui bisogna prendere coscienza di ciò che si è e assumere il coraggio di testimoniare la fede. E' il giorno della glorificazione di tutto l'uomo, in anima e corpo. Quell'uomo Gesù che sembrava sconfitto, umiliato, crocifisso, maledetto, proprio quell'uomo è esaltato da Dio al di sopra di tutti i cieli [...]. L'ascensione è la glorificazione di Gesù che non è nascosto nel regno dei cieli, ma è presente dove ogni uomo o donna è calpestato nella propria dignità e dove agisce silenziosamente l'amore. Non si è soli ad agire poiché la potenza dello Spirito abita in ogni persona di buona volontà [...]. E' lo Spirito che trasforma il pane e il vino in Cristo, è lo Spirito che soffia sull'umanità perché cresca l'amore. La certezza della sua presenza è confermata dal Risorto prima di salire al cielo: "Avrete forza dallo Spirito che scenderà su di voi". L'adagio di Sant'Agostino è molto espressivo: "Se l'uomo non diventa spirituale fin nella sua carne, si ridurrà a essere carnale fin nel suo spirito".

Celebrare


"Il comando che Gesù ha dato: "prendete e mangiate... prendete e bevetene tutti, questo è il calice del mio sangue", non sempre è obbedito nella sua integralità. Il sangue è l'equivalente di vita, anzi di persona. "Sangue versato" è come dire che una persona muore di morte violenta. Gesù, affermando che quel calice cui invita a bere durante l'ultima cena conteneva di fatto il suo sangue, intendeva dire che avrebbe donato sulla croce la sua vita per la salvezza di tutti. Bevendo a quel calice, come mangiando di quel pane spezzato, si può prendere parte al frutto del suo sacrificio. Il mangiare e il bere producono la comunione con il Signore che nelle specie eucaristiche si offre per l'umanità; ma vi è una specialità propria di ciascuno dei due segni, che insieme realizzano la totalità dell'Eucarestia: se nel segno del pane si attua la donazione sacrificale, il segno del vino pone l'accento sulla rinnovazione dell'alleanza nel sangue di Cristo; l'atto del mangiare esprime il dono di Gesù come nutrimento nella partecipazione alla sua Pasqua, l'atto del bere esprime il suggello della nuova alleanza nel suo sangue.
La comunione sotto la specie del pane è un dato abituale; non lo è altrettanto per la Chiesa occidentale quella sotto la specie del vino per tutti i fedeli. nei primi dodici secoli anche la comunione al calice era un'azione del tutto naturale e la Chiesa primitiva si preoccupava che tutti i fedeli bevessero il vino consacrato [...]. Dal XII secolo in Europa occidentale scomparve l'uso della comunione al calice. la causa principale è da ricercarsi nella concezione, diffusasi allora, che Cristo è completamente presente in tutte e due le specie. Un'altra causa fu che in quel periodo l'esposizione e la benedizione con il Santissimo occupavano un posto centrale nella spiritualità eucaristica. Se la liturgia e la vita di pietà rilevavano la presenza reale di Cristo sotto la specie del pane, lasciando in ombra la presenza nel vino consacrato, da un punto di vista pratico la distribuzione della comunione tramite le sole particole era molto più semplice. Il Messale precisa che con la comunione sotto le due specie "si ha modo di penetrare più profondamente il mistero al quale i fedeli partecipano". Il bere al calice, in altri termini, non è esclusiva del presbitero [...]. E' comprensibile che il calice non sia dato ai fedeli in tutte le celebrazioni, ma conviene che tutti possano prendervi parte almeno qualche volta, cioè oltre i casi previsti dalle norme, quando, come suggerisce la Conferenza episcopale italiana, si tengono celebrazioni particolarmente espressive del senso della comunità cristiana raccolta attorno all'altare.

Testimoniare


"Durante l'ultima "sessione" di formazione che si è tenuta ad Algeri, circa settanta Sacerdoti hanno riflettuto sul tema dell'"Eucaristia", vissuta nel nostro contesto, e si sono confrontati sull'attuale difficile situazione che la Chiesa vive in Algeria. Provenienti da tutte le regioni del Paese e da situazioni molto diverse, tutti hanno vissuto, direttamente o indirettamente, le ripercussioni della "campagna" che ha condotto alla pubblicazione di centinaia di articoli nella stampa algerina, specialmente quella in arabo. Articoli che mettevano in discussione la presenza cristiana nella società algerina e la "purezza" delle nostre intenzioni.
Tutti hanno constatato attorno a loro che questa "campagna" ha riportato una certa diffidenza, in luoghi in cui abbiamo vissuto per moltissimi anni una relazione feconda di fiducia con i nostri vicini. Ma, nonostante questo, il nostro incontro sacerdotale si è svolto in un clima di ottimismo e fervore, in quanto tutti i Preti - e ciascuno individualmente, ma anche in quanto "comunità" - rimangono fedeli alla loro "vocazione" di presenza e servizio nel Paese, profondamente legati all'"appello" ricevuto da Cristo e dalla sua Chiesa, che ci inviano per stabilire relazioni fraterne con tutti i nostri fratelli e sorelle della società algerina, a causa di Gesù e dal suo "Vangelo". Perché «Dio è amore» e: «Se noi ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi» (1Gv 4,8.12).
Il tema centrale dell'incontro era appunto quello dell'"Eucaristia". In tutte le testimonianze, ciascuno ha condiviso sino a che punto la propria celebrazione personale dell'"Eucaristia" fosse legata alla celebrazione quotidiana dell'amore fraterno, realizzato negli incontri di ogni giorno con i nostri fratelli e sorelle di questo Paese. Nessuna "amarezza", ma piuttosto la gioia di essere stati chiamati a servire questo "progetto" di «riunire i figli di Dio dispersi» dall'interno della società algerina.
Certo, ciascuno di noi è pienamente cosciente delle difficoltà che la Chiesa vive oggi in Algeria, ma la meditazione del tema dell'"Eucaristia" è stato un richiamo per ribadire che le difficoltà che incontriamo ci rendono più vicini al "sacrificio" che Cristo ha fatto della sua vita per portare la pace tra i fratelli e tra i figli dello stesso Padre che è nei Cieli.
I sacerdoti presenti alla "sessione" di Algeri hanno sottolineato come si sentivano attaccati al loro "progetto di vita" che consiste nel realizzare, in Algeria e con gli algerini, questa "comunione" che viene da Dio. Ma erano anche, e allo stesso tempo, ben coscienti che non è possibile passare al di sopra delle "barriere" che separano i gruppi umani, senza pagarne un prezzo. Ogni giorno, celebrando la Messa, annunciamo una "comunione" che viene da Dio e ci uniamo al "sacrificio" che Gesù ha dovuto offrire perché questa "comunione" fosse annunciata e messa in opera, concretamente, nel proprio contesto e nel proprio tempo.
Così, nonostante le difficoltà del momento e con la grazia di Dio, la nostra Chiesa continua a vivere, come prima, la sua "testimonianza evangelica" nella gioia e nella diversità delle situazioni che conosciamo."

Mons. Henri Teissier,
Arcivescovo emerito di Algeri

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